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14/01/2018 - Risalita del Monte Soratte, visita del sottostante Bunker antiatomico e delle sue immense gallerie.



Informazioni sull'uscita

Data: 14/01/2018

Difficoltà:

- Difficoltà medio alta
- Presenza salite

Distanza in auto: 95 km (a/r)

Lunghezza percorso a piedi: 6 km

Note: Si risale il Monte per raggiungere luoghi panoramici con presenza di emergenze storiche interessanti. Poi si visita il Bunker antiatomico, luogo carico di racconti e significati.

         

Si parte dal solito posto in Civitavecchia, per raggiungere il Paese di Sant'Oreste. Da qui inizia l'escursione risalendo il Monte Soratte. Nel primo pomeriggio si scende per visitare il Bunker e le sue gallerie, recentemente arricchito da reperti storici italiani e tedeschi. All'interno del Bunker è necessario accedere con indumenti pesanti ( giacca a vento). Il giro nel Bunker si snoda entro le gallerie, con visita alle enormi sale  allestite con mezzi bellici della II guerra Mondiale. Si percorrono corridoi di accesso alle stanze abitate da militari italiani e tedeschi, presernti ancora strutture ed arredi. Si accede poi al tratto riservato e segreto, stanze arredate ed ambienti per soggiornare,  ove il governo italiano ed il re si sarebbero trasferiti, all'insaputa del popolo italiano, nel caso di un lancio di ordigni atomici sulla Capitale. Il Tiburzi non è organismo politico, lascio a ciascuno la possibilità di trarre le proprie considerazioni. Ivano



Documenti sul sito

MONTE SORATTE – S.ORESTE –

GALLERIE RIFUGIO E BUNKER ANTIATOMICO

 

Domenica 14 Gennaio 2018

 

Partenza solito posto – ore 8.30 – ritrovo 8.20

Ottima escursione  con profondi riferimenti storici e paesaggistici. Di Km. 6 circa, Viaggio in macchina Km. 99 c.a. per raggiungere il Punto di partenza escursione (Sant’Oreste).

 

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Elucubrazioni Tiburziane …

 

E venne finalmente il giorno del Soratte! Maestoso e fiero già ammicca invitante il suo sguardo, lungi e dall’alto della sua più elevata cima.. Ora benigno e sereno, ora tenebroso in cielo avvolto da nubi arcigno e dispotico, a contestare … l’ingiustificata e prolungata assenza del Tiburzi.

Già, con noi, fu subito franco e sincero! Ha svelato i suoi avvolti e segreti sentieri senza tante remore, come una giovane ragazza al suo primo appuntamento con l’amore.  

Lui lì, con i suoi 693 metri di altezza soltanto, proiettati nella luce azzurra del cielo, così sorgente, dal centro di una vasta pianura, con i suoi cinque rilievi a guisa di placche ossee di schiena di Stegosauro, così immane ed imponente. Incute certo ben più ampio timore di quanto in realtà nasconda …  malcelando nel suo seno le sue gioie, i suoi segreti, le sue storie recondite entro le naturali cavità (i meri) che, chissà dove …  andranno a parare, e che a nessuno ha mai svelato!

I suoi magri, bianchi e superbi pinnacoli dolomitici, dominio di turbini imperterriti, di incontrastati venti polari che, franchi di ripari, spruzzano i lori gelidi fiocchi di neve dall’Est, sulle bianche pietre dedicate ad Aplu, Aplu Sorano, Tinia, Menerva, Uni, e sui suoi fantasmi, gli “Hirpi Sorani”. Là, ove l’uomo antico pose i suoi templi e visse felice, accanto ai suoi Dei.

Finché un uomo camuffato da amico, venuto dal sud, varcò la porta con inganno e si appropriò di tutti i valori e doni dell’amicizia, offerti su un ampio vassoio. La fine del Popolo Falisco!

In un baleno i sogni di tutti volarono in cielo. Solo il lungo tempo riconsegnò gli erti colli al sacro silenzio ed alla solitudine, alla Casaccia ed ai suoi Ladri, al quadraro ed alle sue aquile, all’Eremo di S. Silvestro, di Apollo e di S. Lucia, alle Carbonare, ed ai suoi Meri”, che sprofondano i colori del cielo nel cuore del monte, che sussurra con tutta la sua anima una storia, delle sue ampie ferite!

 

Note della Giornata…

 

Uscita, arrivo previsto al Soratte ore 10.30, risalita del Monte, visita dei luoghi panoramici più interessanti. Pranzo al sacco. Ore 15.00 accesso al Bunker Antiatomico – visita guidata di ore 2 c.a. – utile giacca a vento e felpa per la particolare temperatura delle immense gallerie – ingresso euro cad. 10 Euro – previsti sconti per ragazzi ed ultrasettantacinquenni. Al termine rientro . Escursione di Km. 6 c.a. Si percorre una strada in salita, con alcuni tratti ripidi,  per raggiungere i luoghi panoramici. Il ritorno, ovviamente, tutto in discesa. Sentieri ben transitabili, su tratti in asfalto, cemento e roccia-

 

 

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QUALCHE CENNO GEOLOGICO E STORICO.

 

Merita qualche cenno storico-geografico questo fossile vivente, sopravvissuto antidiluviano, posto dal “massimo fattor” - ben lungi da suoi consimili della dorsale appenninica, che adornano l’orizzonte verso l’Umbria, l’Abruzzo e le Marche - in zona Antiappenninica. Per questo più meraviglia, stupisce e colpisce la nostra attenzione ben oltre le sue caratteristiche intrinseche e fisiche, questo sperone roccioso di appena 690 metri s.l. del mare con pianta a forma di ellissoide avente un asse longitudinale che si sviluppa per circa 5,5 km.

E’ quindi la sua anomala posizione che ne ha decretato  successo e conferita austerità, magnificandone dimensione ed altitudine: esso è come uno Ieti che abbia deciso di scendere in piazza! Enorme scheggia calcarea emersa dal profondo del mare nel periodo giurassico, eocene-cretaceo, con i suoi pinnacoli carbonatici martoriati sull’alto da litodomi, e con i suoi profondi “meri”, frutto di millenarie corrosioni di piogge acide che hanno creato innumerevoli gallerie sotterranee di cui si conosce l’accesso, ma  che non si sa poi dove vadano a parare. Ma  ancora il tratto est “cornicolano”, scaglioso verso S. Oreste e ad ovest tufaceo superficiale marrone/ocra, frutto di spruzzate dei prossimi vulcani Sabatino e Vicano, che ne fanno un’acqua cotta tutta nostrana! 

Ma è il suo aspetto storico, molto articolato, complesso e misterioso, che suscita maggiormente la comune curiosità e la fervida fantasia. I suoi stretti legami con toponimi e mitologia Sabina, Sannita, Falisca e Romana, ed infine ciò che, non servilmente, termini quali Apollo Sorano, Hirpi Sorani, i Meri, evocano ed altro ancora vogliono dirci, e continuano a sopravvivere, a guisa di punte di iceberg che celano gelose la loro ampia storia e realtà soffolta, mentre si allontanano ogni giorno, inesorabilmente, sempre  più, condannate alla liquidità.

Antichi reperti e ceramiche attestano la presenza dell’uomo preistorico. Luogo di culto di popolazioni etrusco-falische nel tempio di “Aplu”, eretto sulla vetta più alta, pur senza poter escludere, con certezze, la frequentazione dell’uomo  del paleolitico, alias  il “Neandertaliano”. 

Ma è la presenza di un tempio dedicato a questa divinità, tra le più importanti del “Dodecatheon” greco a disorientarci un poco.  E ci disorienta la discendenza di questo figlio illegittimo di Zeus “Uni etrusco” e di Leto, gemello di Artemide, presso i Greci ricco di attributi ed epiteti quali, ad esempio: divinità della musica, della medicina e della profezia.  Ed ancora patrono della poesia e, in un successivo “passaggio” tra le divinità romane, “sol invictus”, dio del sole.

            Ma è forse quest’ultimo aspetto ad interessarci vieppiù, giacché furono i romani a tramandare nel tempo ciò che etruschi e falisci attribuivano ad Aplu “nostrano”. E questo è sicuramente  un fatto di straordinaria importanza storica ove considerassimo che alcuni etruscofili (compreso lo scrivente) ed etruscologi, ritengono che Greci ed Etruschi, quando cessarono le loro strette frequentazioni, ancor prima del X e IX secolo a.C., presumibilmente, condividevano lingua e  pantheon.

            Ed allora, filtrando l’ampia  letteratura “religiosa romana”, che possiamo asserire, seppur con qualche riserva, che la maggior parte degli attributi conferiti dai romani, appunto alla nostra Divinità, proviene direttamente dalla religione etrusca, avendo questi massimo rispetto per le divinità dei popoli conquistati. I quali, quanto al mito di Apollo, non furono secondi a nessuno. Vedi il tempio di Apollo a Veio e la sua straordinaria statua, esempio non comune di mega coroplastica del tempio di Portonaccio. E relativamente accanto, presso Stigliano, le fonti termali denominate “aquae apollinares”. Il tempio di Apollo Sosiano in Roma poi e per finire il nostro tempio sul Soratte.

            Ma esaminiamo ancora, sperando di non aver eccessivamente tediato chi tanto amabilmente ha avuto la forza di sopportare oltre il mio “brodo” storico, altri innumerevoli aspetti collegati alla divinità apollinea.

            Le rappresentazioni scultoree giunte fino a noi, lo rappresentano coronato di alloro, sotto la cui pianta sembra sia venuto alla luce, con arco e cetra e talune volte affiancato da tripode sacrificale, con chiara allusione ai suoi poteri profetici. Gli erano sacri il cigno (simbolo di bellezza), la cicala (musica e canto), il lupo (lyceios), i falchi i corvi ed i serpenti, segno di poteri oracolari (Delfi), ed il grifone. Gli era attribuito, per la bellezza, il titolo di Febo (splendente, lucente). Si riteneva che scacciasse il male (apotropaico), era patrono degli arcieri e della fondazione delle colonie greche oltremare. E qui termino l’elenco, convinto di aver comunque trascurato tanti altri ed altri ancora epiteti ed attributi conferiti al nostro Apollo nell’area mediterranea    .

            Ma ora non posso fare a meno di annotare strane similitudini con l’associazione di “Apollo ad Oreste” della mitologia greca, con il paese di S. Oreste ed il prossimo tempio di Apollo sul Soratte.

 Secondo fonti storiche il popolo falisco discenderebbe da Halesus pronipote di Agamennone. Oreste, figlio di Agamennone istigato da Apollo, attraverso la pizia dell’oracolo di Delfi, uccide la madre Clitennestra ed il suo giovane amante Egisto, entrambi rei di aver tradito, durante la guerra di Troia, suo padre e poi di averlo ucciso. E’ forse impensabile che i Micenei, giunti in territorio falisco, così legati ai propri miti e divinità, abbiano fatto erigere il tempio di Apollo sul Soratte edificando il prossimo paese di S.Oreste?

Ma è riesaminando e filtrando più attentamente storia, mitologia, tradizioni, storia orale e toponimi, che complessivamente emergono nella zona del Soratte e dintorni, che si evincono - pur in presenza di racconti smozzicati, fatti e riferimenti slegati - tante altre possibili ed interessantissime interpretazioni.

 La notte dell’ultima domenica di maggio, per le funzioni del mese dedicato alla Madonna, si celebra la “Fiaccolata” in processione, festa che si conclude con un immenso incendio di fascine e fuochi pirotecnici, alle pendici del Soratte. E la montagna brucia e lancia chiari messaggi al  mondo circostante; la manifestazione, con chiari significati apotropaici, affonda le radici nella civiltà contadina.

Ma molto controversa, o controvertibile, è la storia che si tramanda nella zona, quella degli Hirpi Sorani (*), termine che ci viene consegnato dalla cultura locale così, “sic et simpliciter”. Dunque durante una cerimonia pastorale, nel corso di sacrifici animali, alcuni lupi, affamati si appropriarono di carni sacrificali. Gli animali inseguiti dai pastori si rifugiarono entro una prossima spelonca. Una cavità dei “meri”? Ma un inspiegabile “fiato” pestilenziale fuoriuscì dalla grotta pervadendo l’aria, uccidendo chiunque ne entrò in contatto. Si diffuse in seguito una grave pestilenza che, per debellarla, si rese opportuno interpellare un oracolo (**)?  Ne venne fuori una lettura secondo la quale la pestilenza si sarebbe estirpata se i pastori superstiti avessero imitato il gesto dei lupi. Così fu fatto e da allora quei pastori vennero chiamati “Hirpi Sorani” lupi sorani. Ma in seguito il rito del furto delle carni arrostite, presumibilmente, rappresentato da uomini mascherati da lupi intenti al furto delle carni arrostite e dalla la loro successiva fuga entro una grotta, si trasfigurò e si tradusse in un'altra tradizione: quella del camminare sui carboni ardenti. Una volta l’anno, nella coincidenza del Solstizio d’estate, nel luogo, venivano allestiti carboni ardenti su una strada, su cui questi “Hirpi” procedevano, cadendo spesso in uno stato ipnotico:  

 

“Hirpi Sorani, 'Soractis lupi', sacerdotes qui in Soracte monte supra candentes carbones salierunt. De origine huius sodalitatis fabula est: dum Soractis incolae Diti Patri sacrificium dicauerunt, lupi, qui ab igne hostiarum carnis partes abstulerunt. Sacris operantes lupos persecuti sunt, sed illi in cauerna se receperunt; a hac cauerna odor pestifer, qui cum operantes tum montis incolas occidit, exiit. Lues in ciuitate se manauit sic ut aliqui legati sortes interrogauerint: responsio similes lupis esse debere fuit: id uiuere raptis est.” ( da sito Internet: “liberarespublica .altervista .org/hirpi_soran i.htm”)

 

Per questo particolare rito gli “Hirpi” erano esentati dai romani dal prestare servizio nella milizia e dal corrispondere altri oneri.

 

(*) – “Hirpi nella lingua Sannitica, da cui deriva, significa lupo. Ma Sorano, che ha dato il nome al Monte, può derivare dalla divinità infernale etrusca Suri, alla quale era associato il dio Apollo. Ma ci sono altre interpretazioni.

(**) – Allora perchè non pensare al tempio di Apollo con funzioni oracolari sul Soratte?

 

Le straordinarie vie di fuga della X Armata tedesca del Feld-Generale Albert Kesselring.

Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale il nostro Soratte, con le sue profonde gallerie, scavate dal Genio Militare di Roma nel 1937, entra nella Storia. I bunker scavati con funzioni di ultimo rifugio in caso di guerra, del Comando supremo dell’esercito italiano, vengono occupati ed utilizzati dalle truppe della X Armata Tedesca. Ma ciò che particolarmente ci interessa raccontare, per l’occasione, non è tanto il seguito della vicenda bellica quanto, secondo storie locali, dove abbiano sepolto i soldati dell’esercito tedesco in ritirata dall’Italia, le 68 casse piene zeppe d’oro e beni sottratti alla comunità ebraica ed oro sottratto alle casse della Banca d’Italia.

Sembra che Kesselring  abbia dato ordine di interrare le casse entro le gallerie del Soratte dopo averle fatte minare. Ma, a pensarci bene, uno stratega come il nostro feld maresciallo, pur con l’acqua alla gola, non avrebbe mai potuto impartire un ordine così banale e scarsamente intelligente: interrare le casse nelle gallerie del Monte e minarle. Forse sarà stato diffuso il suo ordine, ad arte, in giro in modo che ciò fosse ritenuto plausibile. Ma le sue casse, Kesselring, non le ha certo lasciate entro i luoghi ove aveva stazionato per mesi, dove anche l’uomo più privo di fantasia ed immaginazione, avrebbe rovistato. Il nostro feld-maresciallo era un valido stratega militare in seno al Terzo “Reich”, forse il migliore in fatto di logistica e tattica, e di questo se ne rese conto, tardi, anche il Furer, che gli aveva sempre preferito altri generali, per missioni solutive ed importanti. E a valutare bene le innumere linee di fuga di cui il generale poteva disporre, entro le aree del centro Italia, molto variegate, sicuramente scelse, per la ritirata, diverse direttrici, per persone e mezzi, facendo viaggiare cose di pregio, pesanti ed ingombranti per un breve tratto e verso un punto ove seppellirle, seguendo itinerari privi di logica, impensabili, munendole di ridotte scorte militari, per non dare sull’occhio e destare sospetti.

Dunque fossi stato un consigliere di Kesselring, da buon conoscitore del nostro territorio, potendo contare su valide direttrici sud/nord del tipo Aurelia, Braccianese Claudia, Cassia, Flaminia, su linee ferroviarie quali Roma/Torino, Roma/Bologna, e piccole tratte quale Roma/Viterbo e Civitavecchia/Orte, non avrei avuto dubbi sul percorso e tattiche da scegliere per risalire la penisola. Per non correre il rischio che le 68 casse piene d’oro finissero in mani nemiche, le avrei spedite, rotta ovest-sud-ovest, verso i Monti della Tolfa, per sotterrarle in luogo sicuro, utilizzando tratte ferroviarie poco conosciute e per congiungere quel tesoro, ad altro sottratto alle comunità dei Monti della Tolfa. Mentre la X Armata l’avrei fatta risalire, rotta nord-ovest, utilizzando i dintorni della SS. Cassia. 

Forse è svelato il mistero della scomparsa del “bottino di guerra” tedesco, oro sottratto alle popolazioni dei paesi del Lazio, agli Ebrei ed alle casse della Banca d’Italia.

La linea ferroviaria Roma/Viterbo si congiunge in Capranica, con la ferrovia Civitavecchia/Orte, ove, si possono risalire i Monti della Tolfa toccando le stazioni dei paesi di Barbarano, Blera, Civitella Cesi, Monteromano ed Allumiere. Proprio avanti la stazione di Allumiere si erge Monte Palano che, sul lato nord/est, presenta un declivio impervio, dalla conformazione rocciosa molto simile al Monte Soratte.

In questo luogo, dai giorni successivi l’ultimo conflitto, girava la voce che i tedeschi avevano sepolto su Monte Palano un certo tesoro (oreficeria sottratta alle popolazioni dei paesi collinari e rivieraschi, compresa Civitavecchia). Ma nessuno conosceva l’esatto posto di “sepoltura” scelto.  Ma dovevano passare ben 56 anni circa perché i (nipoti) dei tedeschi “tornassero” a riprendersi il “lardo”, lasciandoci lo zampino. E sinceramente conoscendo soltanto sulla carta l’impossibile pendio di Monte Palano, che ho sempre pensato di violare un giorno, pur con tutti quei miei attributi e capacità di penetrare boschi fitti e risalire rocce, l’avrei fatto con tante remore.

Ma un bel giorno del 1997 o ’98, alcuni fuoristrada con targa tedesca furono notati in parcheggio nei pressi della Via della Farnesiana. E ci rimasero per un paio di settimane circa. Nel frattempo un Tiburziano, (ora “ex “perché è un anno circa che diserta la nostre iniziative). Il nostro uomo, peraltro molto abile nei boschi al pari del sottoscritto, ma a mio giudizio con qualche numero in più! Notò, dal suo casale dirimpettaio della vetta del Palano, ad occhio nudo una macchiolina gialla tra la vegetazione (pure occhio di falco!). Con il cannocchiale si accertò che era un casco da minatore, “antinfortunistico”, appeso ad un albero! Passò del tempo, forse sei mesi, ma roso dalla curiosità, finalmente decise di salire il monte. Si vestì con gli abiti più adatti alla boscaglia nostrana, rovi immensi alti decine di metri poggianti su alta vegetazione, marruche, salsa pariglia amazzonica, peri selvatici abbarbicati su rocce e pinnacoli dolomitici instabili e tutto senza soluzione di continuità fin sulla cima, con tratti di salita franosi, dal pendio del 35 e 40% ed oltre, fino alla verticalità. E’, quel tratto, un luogo ove tanta gente, penetrandoci per caso dal versante opposto ovest per far funghi, ha passato il più brutto momento della sua vita, ed in alcuni casi  ha dovuto passarci la notte all’addiaccio. Tanto che un giorno un amico “buonanima”, Filippetto, all’anagrafe di Allumiere tal Marcoaldi Alfiero, conoscendo le mie sciagurate intenzioni mi disse testualmente:  “...a Ivà si ce vae a Palano statte attente e portite le furminante dietro che si deve passà la notte dentro armeno nun more dar freddo…”.

Ma tornando al nostro uomo, non sto a descrivervi per filo e per segno le avventure o disavventure, di risalita e di discesa del Monte, ove in alcuni casi, legato ad una corda si è dovuto lanciare penzolando nel vuoto e precipitare, per decine e decine di metri, entro “rovicciai” senza fondo, ma i panni indossati si ridussero a brandelli e finirono nel cassonetto, e la sua pelle, a quella non poteva certo rinunciare, presentava più ferite che il noto “ciuco” del pentolaio aveva sotto la coda”, parte più sana dell’animale,  ove erano presenti ben 24 piaghe!

Ma il nostro descrive così il teatro di “battaglia”: “giunto tra quei tre picchi di granito che si scorgono proprio sotto la cima, si apre una radura ove al centro era stata scavata una profonda e larga buca. In alto erano state tirate corde che congiungevano i picchi di roccia e questo scavo, si trovava proprio al centro del triangolo così tracciato. Per quanto vagassi con molta diffidenza e circospezione nel timore di fare incontri indesiderati, si capiva che il posto era stato abbandonato già da tempo. Ma tutta l’attrezzeria, carpenteria (scalpelli martelli cordami), tende mimetiche, apparecchiature (trapani, gruppo elettrogeno ed altro) e “campo”, erano state abbandonate sul luogo. Ritrovai anche quel cappello giallo “spia” appeso ad un albero, mentre un bel pugnale, del valore di 500 euro almeno, era stato lasciato piantato nel tronco di una “cerqua”, che portai via, insieme ad altre cose, tenendo nel dovuto conto le difficoltà del percorso di discesa”.

Queste confidenze raccolsi durante il pasto di un’amatriciana impensabile, in un ameno casale della Farnesiana, seguito da una “scarpetta” immane, cucina e servizio del nostro ex Tiburziano. Ma io, con gli occhi mezzi socchiusi dal carico del fantastico “ciliegiolo” nostrano sorbito, ma con il registratore naturale acceso, attento ed avido, per non perdere alcun particolare del racconto, convinto della sua importanza storico-culturale.

E’ così, che presumibilmente (e cos’altro allora) prese il volo il tesoro dei tedeschi, ad opera di figli, nipoti degli antieroi della II guerra mondiale, che entrarono in possesso di documenti, carte topografiche e coordinate ben precise, tornando sul luogo del “delitto” ben oltre 50 anni dopo!

 Buon per “l’oro”!

Vanì, 18-12-2017

          


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